Il delicato equilibrio fra Proteggere e Rivelare

Tra il fluire dei campi coltivati e il silenzio dei mosaici sepolti per secoli, la Villa Romana di La Olmeda riemerge come un respiro antico che torna a prendere forma. L’intervento degli architetti Ángela García de Paredes e Ignacio García Pedrosa, premiati nel 2023 con il Premio Nazionale di Architettura, si pone come un gesto calibrato, un sussurro che unisce il tempo profondo dell’archeologia alla precisione delicata del contemporaneo.
Scoperta nel 1968 a Pedrosa de la Vega, quando un aratro scalfì il terreno, rivelando frammenti di un grande mosaico, la villa del IV secolo riposa oggi sotto una struttura di 7.130 m2, progettata per custodirla senza soffocarla. Le sue quattro navate parallele emergono come un segno discreto nel paesaggio, una presenza che non invade ma accompagna la linea dei pioppeti circostanti.
L’edificio dialoga con l’ambiente attraverso una pelle leggera in lamiera d’acciaio corte perforato, un velo che lascia filtrare la luce e dissolve i volumi nell’aria. Dietro questo guscio vibra uno strato di policarbonato translucido, che diffonde un’illuminazione morbida e costante sopra i resti: un chiarore sospeso che sembra restituire alle pietre il respiro che avevano perduto. A sostenere l’intera copertura è una maglia romboidale di tubi in acciaio prefabbricato, rivestiti esternamente in alluminio e visibili all’interno come un soffitto a cassettoni, elegante e rigoroso.
In questo intreccio di scelte materiche vive anche una forte attenzione alla sostenibilità: la leggerezza dei componenti prefabbricati ha ridotto l’impatto sul sito, i materiali metallici garantiscono durabilità e riciclabilità, mentre la traslucenza del policarbonato sfrutta la luce naturale, evitando abbagliamenti e limitando la necessità di illuminazione artificiale. È un’architettura che protegge il passato con intelligenza ecologica, senza imporre un gesto dominante.
Il percorso di visita, un nastro di legno sopraelevato, attraversa la villa come un filo narrativo. Si restringe, si allarga, si curva per seguire la geometria degli antichi ambienti: un ponte che invita a guardare senza toccare, a sfiorare con lo sguardo le superfici preziose dei 1.416 m2 di mosaici. Le antiche stanze sono evocate da leggere pareti in rete metallica sospesa, che ricostruiscono l’idea degli ambienti originari senza mai chiudere davvero lo spazio, lasciando che l’insieme resti leggibile come un organismo vivo.

La villa, che nel suo massimo splendore contava 31 stanze su circa 4.400 m2, ritrova così la propria dignità. L’oecus, il grande salone di 175 m2 con scene mitologiche e di caccia, appare come un teatro silenzioso; le terme, con i loro dieci ambienti distribuiti su 900 m2, si svelano in un lento affiorare di geometrie. All’interno del grande padiglione non esiste mai una visione totale immediata: il progetto invita alla scoperta graduale, costruisce un tempo di contemplazione, trasforma la visita in un gesto quasi rituale. Accanto allo spazio archeologico trovano posto un’area museale e un centro di ricerca, completando un complesso che non è solo custodia, ma luogo di studio e di futuro.
Così, sotto una copertura che sembra galleggiare sull’aria, la villa di La Olmeda non è semplicemente protetta: è avvolta in un’architettura che la ascolta, che la restituisce al mondo con un rispetto raro. Una struttura che non impone, ma accompagna. Un abbraccio di luce, metallo e silenzio che consegna un frammento dell’antico al tempo che verrà.









