Il respiro silenzioso del deserto

Nel punto in cui tre mondi si sfiorano – Giordania, Israele, Egitto – e il Mar Rosso si stende come una lama di luce tra le rocce, sorge un’architettura che non si impone, ma si lascia trovare. Come una duna scolpita dal vento, il Clubhouse del campo da golf Ayla, firmato dallo studio di Oppenheim Architecture, nasce nel cuore di Aqaba, tra le sabbie che parlano lingue antiche e l’eco lontana della città di Petra, a soli 80 miglia a nord.
Parte di un progetto titanico – 1,4 miliardi di dollari per dare forma a un’oasi sostenibile – Ayla è molto più di un resort. È una visione, un'alleanza tra paesaggio e presenza umana, tra turismo consapevole e rinascita economica. Il suo campo da golf, disegnato da Greg Norman , è tra i più eco-compatibili del mondo, inserito con grazia e misura nella geografia fragile del luogo.
Ed è qui che prende forma il Clubhouse, insieme all'Accademia e a una costellazione di stazioni di sosta. Non edifici, ma gesti scultorei nati dall’osservazione del territorio, dal desiderio di “sollevare” e “incidere” il deserto senza spezzarne il ritmo.
L’elemento costruttivo scelto – lo shotcrete, calcestruzzo spruzzato a mano – diventa metafora di una materia viva, che si piega e respira. Maestranze locali, guidate da esperti internazionali, hanno appreso la tecnica come un rituale, dando vita a una pelle continua di cemento e sabbia, sospesa su curve sinuose e volumi nascosti. Una sola pompa per il getto, il resto: mani, tempo, cura.
L'involucro, realizzato con terra del sito e pigmenti locali, è stato impreziosito da un artista di Aqaba. Le aperture catturano brezze marine, mentre la luce si insinua attraverso schermi in corten traforato, ispirati alla mashrabiya e ai motivi geometrici giordani. I toni della montagna vicina si riflettono sulla superficie, come un eco minerale.

Il risultato è un’architettura arcaica e contemporanea, al tempo stesso rifugio e scultura. Non cerca di emergere, ma di appartenere. Non chiede attenzione, ma silenzio. Ed è in quel silenzio che si percepisce la vera forza del luogo: un equilibrio fragile tra l’uomo e il deserto, tra il fare e l’essere.
Ayla non è solo un progetto. È una poesia costruita, intonata al ritmo lento delle dune.