Il Drago e il Monte
Parlare di ceramica in Italia è davvero un invito a nozze; è dal ‘300 che nel nostro Paese sono attive produzioni artigianali di altissimo profilo, da Faenza a Vietri, da Deruta a Gubbio, fino a Gualdo Tadino il nostro Paese è pieno di eccellenze.
Eccellenze a cui fanno da contraltare le produzioni di altri Paesi nel Mondo, alcune in un solco di tradizione altrettanto profondo e con radici antiche di quello dei nostri artigiani.
Un posto d’onore in questa classifica di ‘competitor’ è sicuramente occupato dalla Cina e raggiunge vette eccelse con l’invenzione della porcellana (a base di caolino che viene invetriato con una miscela di piombo, quarzo e ossido metallico e poi cotto ancora una volta); la ricetta è stato un segreto custodito gelosamente a lungo dai cinesi.



Non stupisce quindi che si siano moltiplicati musei e esposizioni dedicati all’arte ceramica; l’ultimo e eclatante esempio è il museo UCCA Clay, che sorge a Yixing, uno dei centri rinomati per la produzione di manufatti in ceramica.
Il nuovo museo sorge nella zona del delta del fiume Yangtze , è firmato dall’architetto giapponese Kengo Kuma e si inserisce in un ridisegno urbanistico dell’intero comparto industriale (ora in parte dismesso) dedicato alla produzione della ceramica.

Dal punto di vista visivo, Kuma e i suoi collaboratori hanno dato estrema enfasi alle coperture che richiamano le geometrie del vicino monte Shushan; non solo, sempre le coperture, viste in pianta (ma anche le volte all’intradosso con il singolare rivestimento in bambù), ricordano la tipologia del jagama, o forno drago, un forno rampicante, lungo anche fino a 60 metri, utilizzato ininterrottamente da 600 anni dagli artigiani cinesi.
Il tema delle relazioni con gli altri elementi e edifici del comparto è risolto mediante l’interruzione plastica del volume del museo, scavato da grandi aperture ad arco ribassate che lo mettono in comunicazione con il vicino canale e con le fabbriche di ceramica, generando un’attenta integrazione per dissonanza con gli altri edifici (strutture a capriate e tetto a capanna tipiche degli opifici de secolo scorso) e il comparto industriale in generale.


Tornando all’elemento caratterizzante dell’intera struttura, destinata a ospitare oltre al museo anche un centro culturale per la ceramica, che incorpora atelier e laboratori, preservando i resti delle fabbriche dismesse: la soluzione immaginata da Kengo Kuma Architects è il risultato di un invisibile interazione tra sfere immaginarie che ne scolpiscono la struttura a conchiglia rovesciata.

La copertura a grandi elementi ceramici è stata realizzata in collaborazione con artigiani locali che, nelle cromie e nella variabilità delle stesse (complice la ricercata irregolarità della superficie), vuole richiamare le temperature che si riscontrano nel processo produttivo delle ceramiche. Le coperture interagiscono inoltre con il mutare dell’illuminazione naturale (anche l’illuminazione artificiale notturna è particolarmente curata) e delle condizioni climatiche, generando riflessi e cangianze sempre mutevoli.
Strutturalmente, le grandi luci dei padiglioni (pensati per garantire la massima flessibilità espositiva al museo) sono sorrette da una complessa e articolata struttura di travi reticolari in legno, organizzate su quattro strati sovrapposti.

Le linee delle travi articolano lo spazio e generano tensioni dinamiche all’interno dei padiglioni e negli spazi accessori, conferendo un vibrante dinamismo agli spazi interni; dinamismo che tuttavia non intacca per nulla il senso di equilibrio e di relazione con la natura che caratterizza l’intero complesso (l’impressione di essere tra le spire di un drago acquattato e sornione è sempre presente).
©Eiichi Kano
©Fangfang Tian